15 dicembre 2014

Vacuum: un’involucro di energia fatto di danza e suoni


Mentre nel salone principale di Palazzo Mora si sta ancora svolgendo la performance di Gianni Emilio Simonetti, nella stanza accanto il duo artistico Andrigo e Aliprandi inizia a prepararsi. Dopo qualche minuto il pubblico è invitato ad entrare.
Aldo Aliprandi inizia il suo canto, accompagnando da lontano i movimenti di Marianna Andrigo. L’uomo osserva dal lato opposto della stanza la compagna, ma presto la sua visuale è oscurata dalla presenza degli spettatori che da subito rimangono incantati dall’azione della performer. Essi si avvicinano alla donna, vogliono osservane da vicino i movimenti, ma allo stesso tempo rimangono ad una certa distanza dalla stessa. Come ipnotizzato il pubblico osserva la scena in un silenzio contemplativo, rispettando l’azione e soprattutto la concentrazione dei due performer.
Il corpo nudo della donna è costretto all’interno di un involucro di plastica, completamente sottovuoto. La luce si riflette su di esso, facendolo somigliare ad una scultura di cristallo. Una statua costituita da pieghe plastiche, luci ed ombre. La performer svolge la sua danza alternando scatti meccanici a movimenti più morbidi ed armoniosi. In questo modo si vengono a creare dei disegni casuali sul muro della stanza, ombre luminose che sono lo specchio degli spostamenti dell’artista.
Siamo di fronte ad un corpo limitato, il quale non sembra cercare una via d’uscita, ma piuttosto una convivenza all’interno del proprio involucro. Le mani della donna cercano di muoversi agli estremi della copertura, prima accartocciando e poi svolgendo le dita in movimenti brevi. Allo stesso modo tutti gli arti del suo corpo seguono delle linee immaginarie nello spazio, facendo nascere una danza plastica, ma non artificiosa.
La coreografia della donna è guidata da una melodia che riecheggia nello spazio. Ciò che ascoltiamo sono suoni modificati: il canto di Aliprandi unito ai movimenti che Andrigo crea sulla pedana su cui si muove. Anche il performer sembra eseguire una danza, le sue mani si muovono assecondando i propri vocalizzi, in connessione con la compagna. Il legame tra i due non è visivo, ma totalmente focalizzato sui movimenti dell’uno e dell’altro e quindi sui suoni che essi producono. Ciò che sentiamo è dunque l’unione delle energie dei due performer, una corporale e l’altra vocale. Fondamentale e centrale è proprio l’energia che i due sprigionano assieme, trasmettendo la stessa al pubblico che ipnotizzato osserva la scena.
Gli spettatori osservano principalmente la performer, incantati dai suoi movimenti ed allo stesso tempo sconcertati da ciò a cui stanno assistendo. Solo quando la stanza inizia a svuotarsi si può ammirare l’azione nella sua totalità. In quel momento il legame tra i due torna ad essere visivo e una diagonale immaginaria sembra legare l’uno all’altro. La connessione tra i due partner si fa così più forte, la relazione in quel momento non è solamente uditiva, ma anche visuale. L’immagine che si viene a creare è quella di due corpi che si rafforzano l’uno con l’altro, sprigionando allo stesso tempo una potenza che si riversa nel pubblico, che lo stesso è pronto ad accogliere.
L’azione è continua e ripetitiva, sembra non avere una fine. La performance infatti non ha una conclusione prestabilita, è una danza infinita, un mantra corporale che sprigiona energia. A porre fine all’azione è l’inizio della performance di Olivier de Sagazan, a qual punto il pubblico è invitato ad uscire. L’immagine della danza artificiale è ancora impressa nelle nostre menti, quando nel salone principale inizia l’ultima performance di questa serata inaugurale.

Venice International Performance Art Week
13 - 20 Dicembre, 2014

13 Dicembre, 2014
Marianna Andrigo e Aldo Aliprandi, Vacuum (2013)

29 ottobre 2014

Il ciclo di Negus, un percorso ideato dagli Ivernomuto

il ciclo di Negus
courtesy: Marsèlleria

23 ottobre - 29 Novembre, 2014

Gli Invernomuto, duo artistico composto da Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi, presentano dal 23 Ottobre in Marsèlleria un percorso fatto di installazioni, video e sculture, le quali si sviluppano sui tre piani dello spazio espositivo.

Il ciclo di Negus si ispira ad una storia della tradizione popolare, tramandata oralmente  a Vernasca, paese d’origine degli Invernomuto. Il racconto narra dell’effige di Haile Selassie I, ultimo Negus d’Etiopia, bruciata nella piazza principale di Vernasca per festeggiare il ritorno di un soldato del paese dalla campagna italiana in Etiopia.
Il percorso ideato dai due artisti sembra essere la giusta visione di un evento avvenuto nel 1936, di cui non esistono immagini, ma solo una tradizione orale.
L’accesso all’esposizione è dal piano interrato. Lo spettatore è accolto all’interno di uno spazio surreale: pareti argentate e riflettenti fanno da cornice ad un primo video, accompagnato da un’installazione sonora che riecheggia nella stanza. A completare l’atmosfera sono una nuvola di vapore che fuoriesce dal pavimento ed un’accecante luce proveniente da lampade per la coltivazione.
Wondo Genet - o “paradiso terrestre” in lingua Amharic - è il nome del primo dei tre ambienti che costituiscono l’intero percorso espositivo. Il titolo si riferisce ad una zona vicino a Shashemene, ed è anche il nome di un famoso resort in Etiopia. L’installazione è costruita sull'idea di Eden, di paradiso terrestre, descritta anche nel video, ironizzando sullo stesso.
Ogni spazio è stato chiamato con il nome di un luogo esistente, per descrivere l’atmosfera che si può trovare nelle aree corrispondenti.
Il percorso continua con Ruatoria, installazione che si sviluppa al piano terra. Ruatoria è una località che si trova in Australia, ed è il punto più a est del mondo, il primo luogo ad essere illuminato dalla luce solare all’inizio di un nuovo giorno. Nella zona vive una comunità Rasta-Maori, in attesa della venuta del Messia Haile Selassie I.
Tre sono le sculture presenti su questo piano, attraverso le quali i luoghi del racconto degli Invernomuto vengono idealmente collegati tra loro.
A fare da scenografia è Wax, Relax, un monumento della cultura popolare che si rifà alla copia della grotta di Lourdes presente nella chiesa di Vernasca. Il lavoro si focalizza sul concetto di copia, di duplice e multiplo, essendo la stessa opera la copia di una copia della grotta reale. La scultura realizzata in cera è destinata a sciogliersi durante i giorni della mostra.
In primo piano troviamo Zion, Landscape, anch’essa la copia di un monumento esistente, ovvero una scala composta da quattordici scalini, i quali simboleggiano gli anni della presenza del regime fascista in Etiopia. I due artisti sventrano la struttura originale affiancando una pianta agli scalini per ricordare l'esotico e ponendo la copia della statua del leone su uno schermo LCD, nel quale viene riprodotto un video realizzato dagli artisti al National Museum di Addis Abbeba che conserva il primo ominide: Lucy. Quest'ultima scultura è chiamata Motherland.
A completare il percorso all'ultimo piano è l'installazione Black Ark, nome della casa discografica fondata in Jamaica dal produttore dub/reggae Lee “Scratch” Perry, e bruciata dallo stesso nel 1984, come atto di purificazione.
Le prime sculture che troviamo salendo sono Negus, una lamiera sagomata raffigurante Haile Selassie I,  e “I-Ration”, una stella a tre punte che ricorda il logo di Mercedes-Benz stella che era l’emblema di Haile Selassie I che divenne il logo della casa automobilistica che in cambio fornì mezzi di trasporto pubblico.
A guidarci verso il fondo della sala è il mantra "Standing on the hill, in Veeeernasca!" interpretato in un video da Perry nella piazza principale di Vernasca, luogo dove negli anni Trenta venne bruciato il fantoccio di Haile Selassie I. Il fuoco è il protagonista di un rituale, ed utilizzato per eliminare le influenze negative. L’elemento è stato scelto dai due artisti per la purificazione di Vernasca ed in modo particolare della sua piazza.
Il viaggio guidato dagli Invernomuto termina qui. Molti sono i souvenir e gli stimoli che restano allo spettatore, un percorso ricco di significati ed immagini. Vari sono i livelli su cui si sviluppa la mostra, in senso fisico all'interno dello spazio espositivo, e dal punto di vista concettuale, facendo nascere spunti per una riflessione più ampia.


Invernomuto

Marsèlleria, Milano
23 Ottobre - 29 Novembre, 2014

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English version


The Negus cycle, an itinerary conceived by Invernomuto

The artistic Italian duo Invernomuto, composed by Simone Bertuzzi e Simone Trabucchi, presents an itinerary that comprise installations, videos and sculptures developed on the three floors of the exhibition space. The exhibition is starting on the 23rd of October at Marsèlleria, in Milan.
The Negus cycle takes inspiration from a popular tradition of Vernasca, the native village of the artistic duo. The story talks about the burning of Halle Selassie I’s effigy, the last Negus of Ethiopia. That action was realized on the central square of Vernasca for celebrating the return of a soldier from the italian campaign in Ethiopia. 
The Invernomuto’s itinerary seems to be the right view of an event happened in 1936, from which don’t exist photos or images, only an oral tradition.
The entrance to the exhibition is on the basement. The spectator is received in a surreal space: silver and reflecting walls are the frame for a video and an audio installation. A cloud of fog above the floor and a dazzled light coming from many other lights for indoor cultivation complete the atmosphere. 
Wondo Genet - or “earthly paradise” in Amharic - is the name of the first of three spaces, which constitute the whole exhibition itinerary. The title is related of a location near Shashemene, and is also the name of a famous resort n Ethiopia. The installation is built on the idea of Eden and it’s illustrated into the video ironizing on that idea.
Each place is called with the name of a real location to describe the atmosphere that we can find in the corresponding areas.
The itinerary continues with Ruatoria, the installation on the first floor. Ruatoria is a location in Australia, the Easternmost point of the world, the first place which the solar light illuminates the beginning of a new day. In that place live a Rasta-Maori community attending the arrival of Messia Haile Selassie I.
In that floor there are three sculptures which connect the places of the Invernomuto’s story. The scenography is Wax, relax, a monument which takes inspiration from the popular tradition. Indeed the sculpture is a copy of the copy of the Lourdes’ cave located  in the church of Vernasca’s village. The art piece is focused on the concept of copy, duplicate and multiply. The sculpture is made from wax and it’s going to change during the exhibition.
In the foreground we can see Zion, Landscape, another copy of an existing monument: a stair with fourteen steps. These are the symbol of the presence of the fascist regime in Ethiopia. The two artists decomposed the original structure. They put near the stair a plant to recall the exotic, and a copy of the lion above a LCD screen. That sculpture is called Motherland and it reproduces a video of the National Museum of Addis Abeda where is conserved the first ominide: Lucy.
To complete the exhibition itinerary there is the installation at the last floor, titled Black Ark. The name is took from the recording studio founded in Jamaica by the producer dub/reggae Lee “Scratch” Perry, and burnt down by himself in 1984 as an act of purification.
The first sculpture is Negus, a profiled sheet that on one side bears an airbrushed portrait of Haile Selassie I; the other side has a mirror finish. The second sculpture is I Ration, a three-pointed star, made in iron and cut at the center by a flame that lights at regular intervals. Its shape recalls the Mercedes-Benz logo, that once was the emblem of Haile Selassie I. To guide us until the end of the room is the mantra "Standing on the hill, in Veeeernasca!” song of a Perry’s video presented in the central square of Vernasca, for eliminating the negative influences.

The trip conceived by Invernomuto ends here. There are a lot of souvenirs and props for the visitors that will experience this itinerary rich of images and meanings. More than one layer can be developed during the exhibition, firstly the physical sense and secondly the conceptual mood which flourish different sparks useful for bigger reflections.

14 agosto 2014

Cibo, deperibilità e morte tra occidente ed oriente

L'ultima mostra stagionale presentata da Fluxia a Milano si è conclusa a fine luglio. L'esposizione era incentrata sul dialogo tra Luca Francesconi e Taocheng Wang.
Francesconi è un'artista mantovano rappresentato da molti anni da Fluxia, mentre Wang è un'artista cinese che vive e lavora ad Amsterdam.
Fluxia ha deciso di presentare nei propri spazi un progetto differente dal solito, con il quale si propone di dare il via ad una serie di dialoghi di questo genere. L'intenzione è quella di lasciare spazio agli artisti che essa rappresenta, i quali avranno modo di lavorare assieme ad un collega da loro stimato.
Luca Francesconi è stato colui che ha dato inizio a questo particolare progetto. L'artista, interessato al lavoro di Taocheng Wang, si è messo in contatto con la stessa dando il via ad un dialogo inizialmente virtuale, sviluppando infine, negli spazi di Fluxia, un conversazione divenuta esposizione.

Visione dell'istallazione
Courtesy Fluxia e Andrea Rossetti


La poetica di Francesconi da tempo vuole mettere in luce un legame antropologico tra l'uomo e la natura, il quale si sviluppa e prende forma nell'agricoltura. L'artista ritiene che ancora oggi la pratica agricola sia fondamentale per l'uomo, utilizzata oggigiorno non solo per un bisogno di sopravvivenza, ma concentrata soprattutto sull'importanza energetica e salutare che la stessa può donare all'essere umano.
Anche Taocheng Wang pone l'attenzione sugli alimenti, intesi come elementi con cui l'uomo ha da sempre un forte legame, appunto perchè indispensabile per la nostra vita.
Sebbene i due artisti abbiano origini culturali differenti, le opere presenti in galleria confermano la loro vicinanza formale. I loro lavori entrano spontaneamente in conversazione, creando un legame tra cultura occidentale ed orientale basato su cibo, deperibilità e  morte.
Entrando negli spazi della galleria a dare il benvenuto è un tappeto di alghe ormai secche dell'artista cinese. Lo stesso si lega ad un video precedentemente realizzato da Taocheng Wang, nel quale alcune alghe vengono tenute costantemente bagnate, affinché esse rimangano "vive". Nell'installazione si viene quindi a creare una contrapposizione tra la vita e la morte, la quale è necessariamente basata su un fattore temporale. Le alghe del video sono vive perché in acqua, come lo sono originariamente, ma allo stesso tempo le alghe secche sul pavimento ci ricordano che l'intervento umano le ha estrapolate dalla loro natura, lasciandole deperire.
In modo simile gli uomini in acciaio di Luca Francesconi hanno teste di frutta e verdura che col tempo andranno a deperire, esse però verranno sostituite prima che il loro disfacimento sia visibile. In questo caso l'intervento umano è necessario per mantenere in vita le opere. Un muro di plastica fa da scenografia agli attori metallici, schermando il muro reale della galleria. L'artista si è divertito a spruzzare della polenta sulla finta parete, utilizzando la tecnica del dripping. L'alimento si andrà col tempo a seccare, finendo col cadere sul pavimento. In questo modo si viene a creare una connessione con le alghe secche, trovandosi anch'esse distese a terra. 
L'allestimento stesso può essere inteso come un'ulteriore ciclo della vita, all'interno del quale vari ecosistemi nascono e muoiono. Le alghe morte sul pavimento riprendono vita nel video, dalla terra all'acqua esse ritornano al loro stato naturale potendo rinascere. Come le alghe anche le teste di frutta e verdura sono vive e fresche, e grazie all'intervento dell'uomo esse continueranno a rimanere in vita. Lo scenario retrostante però ci ricorda che tutto infine deve morire: la polenta appena spruzzata e calda col tempo si è seccata ed è caduta sul pavimento, tornando alla terra. E così il ciclo si è concluso, pronto nuovamente a ricominciare.


Luca Francesconi / Taocheng Wang

Fluxia, Milano
12 Giugno - 23 Luglio, 2014

14 maggio 2014

Le piastrelle di TILE

Tile, ovvero piastrella, è un nome quanto mai perfetto per il nuovo spazio di progetto aperto ieri, martedì 13 maggio, a Milano. A caratterizzare e rendere unico il piccolo spazio espositivo sono appunto delle bianche e lucide piastrelle, le quali rispecchiano ciò che le circonda. Il progetto nasce dall’idea di tre giovani curatrici, Roberta Mansueto, Caterina Molteni e Denise Solenghi, le quali hanno deciso di inaugurare questa nuova realtà con un lavoro site-specific di Alessandro Quaranta.
I non illusi errano nasce proprio dall’osservazione delle caratteristiche piastrelle, queste hanno dato il via ad una video performance che ricerca un ponte tra l’esterno e l’interno dello spazio espositivo. Lo spettatore assiste a ciò che accade fuori, ma ciò che vede sono delle immagini confuse, quello che osserva è infatti una riflessione dello spazio esterno. L’opera è in costante mutamento e non lascia tracce: ciò che è accaduto rimane nell’oblio del passato, affinché ognuno di noi possa osservare una nuova ed unica visione.
TILE project space si propone di promuovere e produrre il lavoro di giovani artisti italiani. Le curatrici spiegano appunto di voler presentare delle opere che nascano dal contatto diretto con lo spazio espositivo, data la sua particolarità. I lavori che verranno presentati saranno quindi pensati appositamente per il luogo cercando di creare un dialogo con lo stesso.
Le esposizioni sono accompagnate parallelamente da una fanzine. In questa vengono riportate suggestioni principalmente visive e letterarie, le quali derivano dalla ricerca dell’artista, ma anche da quella delle tre curatrici.

Certamente un buon inizio per questo interessante progetto, e ora aspettiamo la prossima mostra per capire se davvero continuerà a funzionare.



Alessandro Quaranta. I non illusi errano

TILE project space - Milano
14 - 27 Maggio, 2014

18 febbraio 2014

La memoria della materia

in primo piano: Nicola Martini
Untitled, 2013
dietro: Olga Balema
Untitled, 2014
(foto di Andrea Rossetti)

Una materia che ha memoria è quella presentata presso la galleria Fluxia di Milano fino all'8 Marzo 2014. All'interno dello spazio espositivo le opere creano un percorso ben strutturato sottolineando le trasformazioni dei materiali quali cera, metallo, resina, tela. Nelle varie opere viene messo in luce il cambiamento dei loro componenti, ma soprattutto viene evidenziato il ricordo di ciò che era prima. Ossidazione del metallo, evaporazione dell'acqua, malleabilità della cera, strati di pittura, stampi di snikers, disgregazione del cemento: sono solo alcuni degli eventi accaduti o ancora in corso. Di cera è la colonna a base rettangolare creata da Nicola Martini. Una cavità ci porta all'interno del materiale, rivelando le caratteristiche interne dello stesso. L'artista italiano vive e lavora a Parigi e nelle sue opere spesso unisce lastre di materiali differenti o delle semplici sculture a base quadrangolare. In ogni caso la materia pura è una delle caratteristiche principali dei suoi lavori. Porfido, cemento, cera, bitume e pietra sono i più utilizzati dall'artista. 
Seguono due fontane di Olga Balema. L'artista olandese utilizza materiali di scarto come lastre di metallo e vestiti usati per creare delle inusuali fontane. Interessante come lo scorrere continuo dell'acqua arrugginisca la lastra di metallo su cui essa scivola. Il liquido confluisce poi nuovamente all'interno di una canna che lo rimette in circolo. Questo ciclo continuo rumoreggia nell'aria, lo scorrere dell'acqua si diffonde infatti nello spazio dando vita ad una lieve melodia naturale.
Etienne Chambaud,
Nameless 2013
(Foto di Andrea Rossetti)
Per finire i lavori di Etienne Chambaud sottolineano nuovamente le potenzialità dei materiali. L'artista parigino ha preparato tre tele con una pittura al rame, sulla quale ha poi distribuito le urine di tre animali differenti. In questo modo si vengono a creare delle chimere, dunque dei nuovi esseri rimasti aggrappati alla tela. Il liquido ossida la pittura creando delle figure astratte ed automatiche dal colore verdastro. Interessante è anche l'idea di presentare tre tele della stessa misura, come a formare un'ulteriore unione di animali e quindi un'altra chimera. L'artista in ogni caso sta ancora lavorando a lavori simili, riproponendo nuove unioni e diverse misure del supporto.
Questi sono solo alcuni dei giovani artisti presenti in galleria. I loro lavori sono accomunati dalla purezza con la quale viene indagata la materia, lasciandone trasparire le imperfezioni e cercando di interagire direttamente con la stessa.





artisti in mostra: 
Nicola Martini, Olga Balema, Anne De Vires, Maria Taniguchi, Etienne Chambaud



Material Memories


Fluxia Gallery - Milano
23 Gennaio - 8 Marzo, 2014